La crescente
influenza delle donne è l’unica cosa rassicurante nella nostra vita politica”,
è una delle citazioni di Oscar Wilde che meglio può rappresentare la percezione
che si ha della presenza delle donne nell’agone politico. Le donne sono spesso
associate a un elemento innovatore della politica ed è questa una percezione
che si tramanda da sempre nell’opinione pubblica e anche il comune sentire in
Italia è il medesimo. Dal 1946 da quando le donne in Italia erano entrate in
punta di piedi nella scena politica nazionale con la tanto agognata concessione
del diritto di voto fino agli anni Novanta si era compiuto un lungo percorso di
emancipazione sociale, rompendo vecchi schemi ideologici. Tutti questi
progressi sociali dall’uguaglianza sul lavoro, nella vita famigliare e nelle
professioni dovevano trovare ancora un loro corrispondente nella rappresentanza
politica, per cui l’Italia era ed è da sempre il fanalino di coda in Europa e
anche a livello mondiale non brilla.
Così è agli
inizi degli anni Novanta, quando crolla il sistema partitico, che entra
nell’agenda politica il tema del riequilibrio della rappresentanza di genere
dapprima nelle assemblee elettive e poi nei decenni successivi anche negli
organi esecutivi. Una democrazia è compiuta quando coinvolge nelle alte sfere
dei suoi centri decisionali uomini e donne, altrimenti è una democrazia zoppa.
In Italia per curare l’andamento claudicante si è passati dapprima per una
giurisprudenza costituzionale contraria a strumenti tecnici per favorire una
maggiore presenza di donne nelle assemblee elettive, una riforma dell’articolo
51 della Costituzione, una giurisprudenza amministrativa che ha annullato la
composizione di quelle giunte regionali e degli enti locali che non
presentavano donne tra gli assessori o ne presentavano troppo poche per
arrivare all’approvazione della legge 215/2012 che ha sancito a livello
parlamentare che il principio delle pari opportunità è un principio
costituzionale cogente.
Francesca
Ragno
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