Parafrasando
un noto slogan dei movimenti femministi sarebbe il caso di dire “tremate
tremate le quote rosa sono tornate”, infatti nelle ultime settimane sia la
Camera dei deputati che il Senato della Repubblica sono stati impegnati in
un’accesa discussione politica sulla necessità di inserire o meno sia
nella nuova legge elettorale per le elezioni politiche che per le
elezioni europee, disposizioni per garantire la candidatura di un maggior
numero di donne auspicando anche un maggior numero di elette.
Se proprio
mentre scriviamo il Senato della Repubblica ha approvato in prima lettura il
testo del disegno di legge per garantire l’equilibrio di genere per le elezioni
europee, è senza dubbio sulla legge elettorale per le politiche, il cosiddetto
Italicum, e sull’accesa battaglia condotta dalle deputate e dai movimenti delle
donne che si sono accesi i riflettori della stampa nazionale, solo alcuni
giorni fa.
Quote rosa,
parità di genere, 50&50, alternanza in lista: sono espressioni che sono
ricorse spesso sulle pagine di giornale e nei tg, spesso però con scarsa
chiarezza e tanta disinformazione. Cerchiamo quindi di capire perché le
deputate hanno dato vita a un dibattito parlamentare dai toni sostenuti e hanno
protestato vestendosi di bianco, come simbolo di unità tra destra e sinistra, al
di là dei partiti.
Facciamo un
passo indietro e torniamo a 9 anni fa. Il Parlamento sta approvando il tanto
famigerato Porcellum e allora l’onorevole Stefania Prestigiacomo è ministra per
le pari opportunità. Tutti ricorderanno le sue lacrime in aula quando la Camera
bocciò l’emendamento presentato con il parere favorevole dell’allora Governo
Berlusconi che garantiva la presenza di almeno il 15% di donne nelle liste
(ovvero l’obbligo di candidare una donna ogni tre uomini) introducendo sanzioni
pecuniarie per la liste che non avessero rispettato tale rapporto.
L’emendamento votato a scrutinio segreto fu respinto con 452 no e 140 sì, con
il voto contrario dell’allora opposizione che chiedeva sanzioni maggiormente
deterrenti per i partiti e da parte di alcuni “franchi tiratori” della
maggioranza di centro-destra, propositrice dell’emendamento stesso. Ironia
della sorte lo stesso Governo che due anni prima aveva approvato la riforma
dell’articolo 51 della
Costituzione proprio per dare copertura costituzionale al
possibile inserimento di norme di riequilibrio di genere che erano state
bocciate dalla Corte Costituzionale nel 1995, alla prima occasione utile, non
dà attuazione al principio di pari opportunità.
Nel 2014 gli
estensori dell’Italicum, visto anche una mutata sensibilità in materia e un
riscoperto attivismo delle associazioni femminili, inseriscono già nel testo
base una disposizione per il riequilibrio di genere, un passo in avanti
rispetto al Porcellum dove non vi era nessuna norma che potesse identificarsi
con quelle chiamate giornalisticamente “quote rosa”.
Nel testo
licenziato dalla Camera dei deputati e che ora passa all’esame del Senato si
legge: “A pena di inammissibilità, nel complesso delle candidature
circoscrizionali di ciascuna lista nessuno dei due sessi può essere
rappresentato in misura superiore al 50 per cento con arrotondamento all’unità
superiore; nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali non
possono esservi più di due candidati consecutivi del medesimo genere”.
L’italicum
prevede circoscrizioni regionali divise a loro volta in collegi plurinominali.
Per esempio la Regione Lazio in totale elegge 57 deputati. Quindi ogni partito
presenterà nel complesso un numero di candidati pari a 57 unità: questi 57
candidati dovranno essere per metà uomini e per metà donne. Quindi il Pd per
esempio candiderà in tutto il Lazio 29 donne e 28 uomini e deciderà come
distribuirli nei collegi plurinominali. In alcune liste di collegio ci potranno
essere più donne in altre più uomini, perché per arrivare al 50% di candidature
di ogni genere si dovrà andare a compensazione tra collegi. La cosa certa è che
non ci potranno essere collegi che avranno liste totalmente mono-genere perché
in ogni caso ogni due candidati dello stesso genere, si dovrà inserire un
candidato del sesso opposto. Le donne quindi dovranno essere candidate e
dovranno esserlo in numero eguale ai colleghi uomini.
Cos’è che
allora ha fatto alzare le barricate alle deputate sia di centro-destra che di
centro-sinistra e ha fatto scaldare i motori alle associazioni femminili? Se la
disposizione di riequilibrio di genere illustrata garantisce una parità di
fatto nelle candidature quindi ai nastri di partenza per fare un esempio
sportivo, non garantisce però una parità di elezione, quindi una parità di
risultato. Non si porterebbe a compimento quello che per i movimenti delle
donne è la parità di genere o democrazia paritaria: ovvero il 50% di donne e
uomini sia nelle assemblee elettive e negli organi di Governo. Il timore delle
deputate è che in collegi molto piccoli con liste corte con un numero di eletti
che vanno dai 2 ai 6 a seconda dei casi a farla da padrone siano gli uomini,
più forti solitamente nei partiti e quindi con una maggiore forza contrattuale
di farsi candidare capolista e avere la certezza dell’elezione.
Il dibattito
parlamentare o meglio la battaglia è stata incentrata su una serie di
emendamenti che potevano garantire alle donne la certezza dell’elezione: la
candidatura obbligatoria nelle liste in maniera alternata tra uomini e donne
oppure l’alternanza obbligatoria trai capolista nei diversi collegi di una
circoscrizione. Tecniche queste elettorali di riequilibrio di genere che
avrebbero di fatto sì garantito il risultato di avere una Camera dei deputati
paritaria tra uomini e donne, ma stando alla giurisprudenza costituzionale
avrebbero potuto trovare uno stop proprio dalla Consulta. Dal 1995 al 2010 la
Corte Costituzionale ha certamente mutato il suo orientamento verso le
disposizioni elettorali per favorire le pari opportunità, ma ha tenuto fermi
alcuni principi: la necessità di un’azione di crescita culturale all’interno
dei partiti politici, i vivai da cui si forma la classe politica, la netta
separazione tra garanzia di risultato e uguaglianza di opportunità e tenuta
ferma la libertà dell’elettore il promuovere il riequilibrio di genere, ma non
imporlo.
Quanto
previsto nell’Italicum va in questo senso: garantisce alle donne l’opportunità
di essere candidate e fa sì che i partiti possano dimostrare la loro virtuosità
in tema di parità di genere. Le deputate agguerrite per poter difendere i
“loro” posti in lista e la “loro” elezione, forse dovrebbero portare avanti una
battaglia culturale soprattutto nelle stanze dei partiti, nelle segreterie e
nelle direzioni e farsi valere come donne di potere con pari capacità
contrattuali e forza elettorale dei loro colleghi di partito e non solo come
dei corpi, magari dei bei corpi, da mettere nelle liste elettorali. Sarebbe
bello che per tutte le donne la stessa unità di intenti e la stessa protesta
bipartisan le deputate la portassero avanti magari per garantire a tutte
le italiane parità retributiva nel lavoro, adeguata assistenza sanitaria anche
rispetto alla scelta di portare avanti o no una gravidanza, contro le
dimissioni in bianco o per avere più asili nido come in tutta Europa. Non si
può più aspettare, se non ora quando?
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