venerdì 8 aprile 2016

PARI OPPORTUNITA’: IL CASO DELLA GIUNTA DI ROMA CAPITALE. COMMENTO ALLA SENTENZA DEL TAR LAZIO 6673/2011



 ARTICOLO PUBBLICATO su NOMOS LE ATTUALITA' NEL DIRITTO


L’estate 2011 potrebbe essere considerata da un punto di vista politico e giuridico “l’estate delle donne”: nel giro di quindici giorni sono state ben tre le sentenze di diversi Tribunali Amministrativi Regionali, nonché del Consiglio di Stato che hanno annullato le composizioni delle giunte là dove non si fosse ampiamente rispettato il principio delle pari opportunità tra uomini e donne nella distribuzione degli incarichi assessorili.
A dare il la nel valzer delle sentenze estive sulle cosiddette “quote rosa” è stato il Tar del Lazio che lo scorso 15 luglio con la sentenza 6673/2011 ha annullato la composizione della giunta di Roma Capitale guidata dal sindaco Gianni Alemanno in cui tra i dodici assessori compariva una sola donna. Una sentenza analoga si è avuta pochi giorni dopo il 29 luglio quando il Consiglio di Stato con la sentenza 4502/2011 ha confermato quanto stabilito in primo grado dal Tar della Campania con la sentenza 1985/2011, annullando l’attuale composizione della Giunta regionale del Presidente Stefano Caldoro dove anche in questo caso compariva una sola componente di sesso femminile. L’ultima in ordine di tempo è stata la sentenza 864/2011 emessa lo scorso 2 agosto dal Tribunale Amministrativo della Sardegna che ha annullato la composizione della Giunta Regionale guidata da Ugo Cappellacci dove in questo caso vi era una totale composizione maschile.
Sulla questione del rispetto del principio di pari opportunità nella composizione degli organi collegiali degli enti locali da alcuni anni si sta delineando una giurisprudenza consolidata che tende a garantire il rispetto della presenza di entrambi i generi quale principio costituzionale, così come risultante dalla formulazione vigente dell’articolo 51 e in base alle disposizioni normative e statutarie dei singoli enti.

Il primo tribunale amministrativo1 che si è trovato ad affrontare la questione, a seguito della riforma dell’articolo 51 della Costituzione del 2003 che ha costituzionalizzato le cosiddette azioni positive, è stato il Tar di Lecce che nel luglio del 2005 affrontò il caso della composizione della giunta del Comune di Veglie, composta da soli uomini. All’epoca dei fatti furono presentati due ricorsi: uno, attraverso gli avvocati Sandro Matino e Barbara Taurino, recante la firme di sette consiglieri di opposizione (tre del centrosinistra e quattro del centrodestra), l’altro del consigliere di maggioranza Stefania Capoccia, assistita dall' avvocato Antonio Malerba. Entrambi i ricorsi chiedevano ai giudici amministrativi di annullare il decreto con il quale l’allora sindaco Fernando Fai aveva nominato la Giunta non tenendo conto dello Statuto comunale e delle disposizioni costituzionali e normative sulle pari opportunità.
Il Tar di Lecce, con l’ordinanza 680/2005 appurato il mancato rispetto dell’articolo 51 della Costituzione, dell’articolo 6 del Testo Unico degli enti locali nonché dello statuto comunale, intimò al primo cittadino di adempiere entro 45 giorni alla nomina di una nuova giunta che tenesse conto della rappresentanza femminile o, nel caso in cui ciò non fosse, per ragioni tecnico-politiche, possibile, illustrando con motivazione puntuale, esaustiva e concreta le ragioni che impedivano la fattiva applicazione del principio delle pari opportunità. Il sindaco decise di non ottemperare all’ordinanza del Tar e nel suo rimpasto politico nominò nuovamente una giunta totalmente composta di uomini motivando la sua decisione con scelte tecnico politico basate su accordi di carattere pre-elettorale.
Nel mese di novembre 2005 il Tar non accolse le motivazioni fornite dal sindaco e diede ulteriori trenta giorni di tempo per nominare una nuova giunta con componenti femminili. La giunta venne rinominata includendo un assessore donna, ma il sindaco decise allora di ricorrere al Consiglio di stato. Il Consiglio di Stato accolse il ricorso del primo cittadino, ritenendo valide le motivazioni presentate dal sindaco che in ogni caso non modificò la composizione della sua giunta in cui aveva inserito una donna.
A partire dal caso del Comune di Veglie le sentenze che hanno sancito che nelle composizioni delle giunte la presenza femminile deve essere garantita in ottemperanza alle disposizioni costituzionali, di legge e statutarie sono state sempre più frequenti.
Tra i casi che hanno avuto il maggior clamore mediatico non si può non citare l’ordinanza 740 del 23 settembre 2009 emessa dal Tribunale amministrativo di Puglia che ha riacceso nell’opinione pubblica il tema dell’annullamento dei decreti di nomina delle giunte composte di soli uomini, là dove nello statuto dell’ente si faccia esplicito riferimento alla presenza di entrambi i generi nella composizione dell’organo e alla promozione delle pari opportunità
In particolare si è ritenuto illegittimo il decreto di nomina della giunta provinciale di Taranto composta da soli membri di sesso maschile in quanto violava quanto contenuto nella disposizione dell’articolo 48 dello statuto provinciale che recita “Il Presidente della Provincia nomina i componenti della Giunta, tra cui un Vice Presidente, secondo le modalità previste per legge e nel rispetto del principio delle pari opportunità, ai sensi dell'art.27 della legge n.81 del 25.3.1993, sì da assicurare la presenza nella Giunta di entrambi i sessi”.
I giudici pugliesi hanno ritenuto che la disposizione dello statuto provinciale non avesse una mera funzione programmatica e promozionale, ma anzi fosse una norma di carattere precettivo in quanto poneva in essere per l’ente locale “un’obbligazione di risultato”. Insomma non è sufficiente tentare di adoperarsi per garantire le pari opportunità, ma bisogna renderle effettivamente operative e applicative.
Successivamente poi si ricordano i casi di Isernia, Molfetta, Benevento, Ercolano e Ghedi6 in questi ultimi due casi a fare notizia sono stati non tanto i profili giuridici quanto l’originalità dei due primi cittadini. A Ercolano il sindaco Vincenzo Strazzullo, ritrovatasi senza più la sua giunta, in forza della sentenza dello scorso 10 marzo 2011 del Tar Campania che ha annullato il suo esecutivo a causa della totale assenza di donne ha ben pensato di rimediare alla presenza di donne in giunta chiamando a farne parte le mogli degli assessori rimossi, in modo da non alterare il già complicato equilibrio politico che sostiene l’amministrazione comunale, mentre a Ghedi, in provincia di Brescia, il sindaco a sua difesa ha affermato che le donne da lui prescelte erano in stato di gravidanza e ha rinunciato a nominarle in giunta. Al di là della nota di colore di questi due casi il principio delle pari opportunità si è affermato non solo nella composizione degli esecutivi locali, ma anche negli organi strumentali degli enti locali7 fino ad arrivare alle tre sentenze dell’estate 2011 che presentano innovativi profili giuridici nell’ambito della giurisprudenza in materia di pari opportunità.
Il 15 luglio il Tar del Lazio, in modo particolare, si è espresso sui due ricorsi presentati da un lato dalle consigliere comunali di minoranza Monica Cirinnà e Maria Gemma Azuni congiuntamente alle consigliere di parità Alida Castelli e Francesca Bagni e dall’altro dal consigliere regionale del partito dei Verdi Angelo Bonelli. I due ricorsi chiedevano l’annullamento di una serie di successive ordinanze del sindaco del Comune di Roma, Gianni Alemanno, con cui ha nominato la composizione della Giunta comunale a seguito di una redistribuzione degli incarichi assessorili.
Nei due ricorsi infatti si lamentava una “falsa applicazione” degli articoli 3 e 51 della Costituzione, nonché di quanto contenuto nel Codice delle Pari opportunità (D.lgs 198/2006) nonché in modo particolare l’aperta violazione dell’articolo 5 comma 3 dello statuto del Comune di Roma che recita che “nel nominare i componenti della Giunta Comunale, i responsabili degli uffici e dei servizi nonché nell'attribuire e definire gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna, il Sindaco assicura una presenza equilibrata di uomini e di donne, motivando le scelte operate con specifico riferimento al principio di pari opportunità”.
In particolare la presenza di una sola donna nella composizione della giunta veniva considerata inadeguata a garantire l’equilibrio di genere a cui lo statuto comunale fa esplicitamente riferimento, nonostante il sindaco avesse motivato la scelta dell’inserimento di un solo componente femminile.
Roma Capitale si è costituita in giudizio presentando una memoria difensiva in cui contestava da un lato la legittimazione dei ricorrenti a ricorrere e dall’altro l’improcedibilità dei ricorsi principali per sopravvenuta carenza di interesse. In merito al primo profilo dei soggetti legittimati a ricorrere secondo la difesa del Comune di Roma i ricorrenti non si trovavano in una posizione sostanziale, qualificata e differenziata rispetto ai comuni cittadini e tra l’altro il principio delle pari opportunità non sarebbe passibile, a detta della difesa, non sarebbe tutelabile attraverso forme di azione collettiva o popolare.
Secondo i giudici prima di tutto nel ricorso non si lamentava la lesione del principio di pari opportunità, come enunciato nell’articolo 51 della Costituzione, bensì la violazione di una precisa disposizione dello statuto comunale. Da segnalare sotto questo preciso profilo che la sentenza del Tar di Sardegna che ha annullato la giunta Cappellacci ha segnato un passo in avanti nella questione di applicazione del principio di pari opportunità in quanto anche là dove non vi sia una precisa disposizione statutaria, come nel caso sardo, che obblighi alla presenza delle donne nella composizione in tal caso della giunta regionale, non è possibile disapplicare le norme e i principi costituzionali volti ad affermare l’esigenza che nel nostro ordinamento, nazionale e regionale, non abbiano ingresso forme di discriminazione a carico delle donne non solo in ambito elettorale, ma soprattutto là dove si tratti di nomina di organi deputati alla gestione dell’ente. In particolare i giudici del Tar di Sardegna hanno riscontrato da parte della Presidenza della Regione una tenace e riaffermata volontà politica di escludere le donne dalla gestione dell’ente regione, con l’implicita ammissione che solo una legge regionale potrà eventualmente costringere a una composizione equilibrata della giunta, senza tener conto dei principi costituzionali che secondo il Tar sardo sono direttamente precettivi e vincolanti.
Per quanto riguarda il caso romano proprio perché si tratta di una disposizione dello statuto comunale i giudici hanno ritenuto che la legittimazione spetta ai Consiglieri comunali che potendo essere nominato potenzialmente assessore ed essendo suo interesse che il Sindaco rispetti le disposizioni normative e che l’organo politico di riferimento istituzionale agisca in violazione di legge e in più la sentenza non fa nessuna differenziazione in merito al sesso dei consiglieri eventualmente ricorrenti. Secondo il Collegio Romano infatti non si può dire che aprioristicamente il ricorso sia possibile solo per le consigliere di sesso femminile perché l’equilibrio di genere non è circoscrivibile di volta in volta a un genere o a un altro e si ricollega a più ampi principi amministrativi di carattere generale come quello di buon andamento dell’azione pubblica.
Sul profilo di legittimazione ad agire dei consiglieri comunali la sentenza del Tar del Lazio che ha annullato la composizione della giunta di Roma Capitale fa un passo avanti rispetto a precedenti sentenze in cui per esempio si era stabilito che i consiglieri, in tal caso provinciali, di sesso maschile non fossero né legittimati né interessati a impugnare gli atti di nomina della giunta che si deduce essere avvenuta in violazione della previsione statutaria che garantisce la partecipazione delle donne. Lo aveva stabilito l’ordinanza 300 del 4 novembre del 2009 emessa dal Tar del Molise sul ricorso presentato per l’annullamento della composizione della giunta provinciale di Isernia. Il TAR molisano aveva stabilito che i consiglieri ricorrenti non potevano essere legittimati a ricorrere neanche in qualità di cittadini elettori non essendo prevista in materia un’azione popolare e per il fatto che essendo di sesso maschile non avrebbero trovato un’utilità giuridica essendo loro preclusa la possibilità di aspirare a nomine riservate al sesso femminile. In quel caso il ricorso dei consiglieri uomini del Consiglio provinciale di Isernia fu respinto, mentre venne accolto il successivo ricorso perché presentato da cittadini di sesso femminile, in quanto possibili aspiranti a ricoprire la carica di assessore. Una linea giurisprudenziale analoga si era presentata nel caso del comune di Sorgogno in provincia di Cagliari in cui il ricorso dei consiglieri comunali sulla composizione della giunta composta da una sola donna su quattro componenti non era stato accolto per carenza di interesse ad agire.
La sentenza romana si mostra molto avanzata poiché legittima al ricorso non solo i consiglieri comunali, indipendentemente dal sesso, ma anche ciascun cittadino elettore del Comune di Roma, non sottoforma di azione popolare, ma quale soggetto potenzialmente aspirante a ricoprire la carica di assessore, perché in tal caso non si configura un mero controllo di legalità, ma la legittimazione a essere membro della giunta e quindi ogni cittadino è portatore dell’interesse a chiedere l’annullamento degli atti di nomina degli assessori adottati in violazione dello statuto comunale.
Il Tar del Lazio ha anche ritenuto inconsistente l’improcedibilità del ricorso a seguito dell’ordinanza emanata il 2 marzo 2011 del Sindaco di Roma Capitale con la quale si sono esplicate le motivazioni della composizione della sua Giunta che viene qualificata dalla difesa come un atto meramente politico, e come tale non sindacabile in sede giurisdizionale.
La giurisprudenza in materia come la recente sentenza che ha annullato la composizione della Giunta Regionale della Campania (sentenza 1985/2011 del Tar di Napoli) confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza del 29 luglio, sancisce la natura amministrativa dell’atto di nomina dei componenti della Giunta e così fa anche la sentenza del Tar di Roma che mette in evidenza come la nomina degli assessori, non ha caratteri programmatici, se pur ispirata da apprezzamenti politici non ha funzione politica, ma si sostanzia nel potere attribuito al sindaco a cui consegue il rispetto di determinate disposizioni e precisi vincoli ed è quindi sindacabile davanti ai giudici.
Il Tar del Lazio, ripercorrendo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e l’evoluzione normativa in materia di affermazione della parità dei sessi e di equilibrio di genere, si sofferma sul valore che questo principio ha assunto in ambito amministrativo come rilevante corollario dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrativa, perché un’equilibrata presenza dei sessi offre la possibilità di sfruttare a pieno il patrimonio umano, culturale e sociale dell’ente. Un organo che non rispetti l’equilibrio di genere, secondo quanto affermato dal Tar di Roma, non solo soffre di un deficit democratico, ma anche funzionale, che si conferma anche negli assunti del Codice delle Pari opportunità (dlgs 198/2006) come poi modificato in attuazione della direttiva comunitaria numero 54.
Il principio della pari opportunità nel caso specifico dello statuto del Comune di Roma si concretizza in precetti puntuali che vincolano l’azione amministrativa e non come affermato dalla difesa del Comune di Roma in obiettivi discrezionali della decisione politica. Il verbo utilizzato dalla disposizione di cui si lamenta la lesione (art. 5.3 dello statuto comunale) è “assicura” che quindi indica un precetto cogente, con cui non solo si auspica o promuove, ma si vuole garantirne il rispetto. L’obiettivo delle pari opportunità non lo si garantisce con una percentuale fissa di rappresentanza e con delle vere e proprie “quote rosa”, ma con un parametro che è quello dell’equilibrio di genere a cui le scelte del sindaco devono conformarsi.
L’equilibrio di genere si sostanzia da un lato da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo in base ai ruoli e funzioni conferiti al genere sotto rappresentato. Ovviamente il caso del Comune di Roma dove su 12 componenti solo uno era di sesso femminile era logicamente lontano da garantire il succitato equilibrio di genere e non può essere motivato da mere ragioni di carattere politico e per di più apponendo come ragione il parametro numerico della composizione del Consiglio Comunale, dove la scarsa presenza femminile è collegata a tecniche elettorali che non favoriscono l’adeguata rappresentanza equilibrata di genere e non può essere assunto come parametro di raffronto.
La sentenza del Tar di Roma anche sotto il profilo del merito si presenta innovativa perché sancisce che l’equilibrio di genere si sostanzia da un punto di vista quantitativo e qualitativo, anche là dove le norme statutarie non fanno riferimento a quote fisse e numeriche nella presenza di donne. Sentenze precedenti avevo invece soprasseduto alla presenza di una sola donna. Con l’ordinanza n. 859 del 18 novembre 2009 il Tar di Puglia in merito al caso della giunta provinciale di Taranto aveva stabilito che in presenza di una norma dello statuto, nel caso specifico quello provinciale, che si limitava a imporre la presenza di entrambi i sessi nella giunta senza fissare limiti numerici o proporzionali era legittimo il decreto che nominava una sola donna nell’ambito della giunta stessa non potendo il giudice amministrativo, sindacare la legittimità dell’azione amministrativa sulla base di parametri numerici che non possono essere individuati dal giudice.
Sotto questo profilo la mancanza di specifici parametri quantitativi, se non stabiliti in alcuni statuti e regolamenti, non poteva indurre il giudice a sostituirsi all’amministrazione nell’individuazione delle misure che garantiscono la parità di accesso dei sessi negli organi di governo degli enti locali anche secondo un criterio strettamente numerico. Un ragionamento similare era stato approntato dal Tar della Lombardia con la sentenza n. 354 del 4 febbraio 2011 in merito alla composizione della giunta lombarda confermandone le nomine e ritenendo che “in considerazione dello stadio in cui versa attualmente il processo di promozione dell’effettiva democrazia paritaria tra uomini e donne nell’accesso agli uffici pubblici ed alla luce del quadro normativo allo stato vigente, non può pervenirsi a una dichiarazione di illegittimità della formazione della Giunta regionale siccome composta da un solo assessore di sesso femminile, pur nella consapevolezza che il processo di promozione dell’equilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica è, allo stato, solo appena avviato“
Il Tar lombardo aveva affermato che il principio dell’equilibrio di genere presente nello statuto della Regione Lombardia consisteva “in una misura di retta promozione e non già di una cogente prescrizione”.
I difensori del sindaco capitolino Gianni Alemanno nel mese di marzo avevano allegato proprio la sentenza del Tar Lombardia a sostegno delle proprie tesi sulla discrezionalità dell’equilibrio di genere. Tra la sentenza del Tar lombardo e quello di Roma è però intercorsa quella del Tar della Campania la 1985/2011 confermata anche dal Consiglio di Stato che aveva appunta sancito che “l’equilibrata presenza” richiede non soltanto che della giunta siano nominati componenti tanto uomini che donne in termini di presenza, ma anche che il loro rapporto numerico sia tale che la partecipazione degli uni e degli altri possa ritenersi tra loro “equilibrata”, alla stregua di un giudizio di ragionevolezza e adeguatezza derivante dal fatto che “equilibrata presenza” non significa “presenza paritaria”, riferendosi, piuttosto, alla necessità di evitare eccessi in un senso o nell’altro. Non basterebbe, dunque, una qualunque presenza femminile, vanificandosi altrimenti l’attributo che nella norma la qualifica.
La vicenda della composizione della giunta di Roma Capitale non si è però esaurita con la sentenza 6673/2011, ma è tuttora un tema che a 7 mesi dalla sentenza anima la politica romana. All’indomani della sentenza di luglio il primo cittadino di Roma Gianni Alemanno ha prontamente rinominato la sua squadra di assessori inserendovi due donne: Sveva Belviso con la delega di vice-sindaco e di assessore ai servizi sociali e Rossella Sensi con un pacchetto di deleghe che potremmo riassumere sotto la dicitura “marketing e comunicazione di Roma Capitale”. Un piccolo passo avanti, ma per le promotrici del primo ricorso, le consigliere di opposizione Monica Cirinnà e Gemma Azuni la composizione della giunta romana con due sole presenze femminili non era ancora rispettosa del regolamento che come già citato stabilisce all’articolo 5 “una presenza equilibrata di uomini e di donne, motivando le scelte operate con specifico riferimento al principio di pari opportunità”, tanto da spingerle a presentare un nuovo ricorso, il numero 746/2011. I giudici amministrativi hanno ritenuto l’istanza fondata e degna di legittimazione in modo particolare in riferimento al difetto di istruttoria e alla carenza di motivazione dell’atto impugnato, fissando la prima udienza di merito per il 25 gennaio 2012.
Il 17 gennaio 2012 il sindaco di Roma Gianni Alemanno, con un’ordinanza, ha deciso di ritirare le deleghe assessorili e ridistribuirle ai medesimi componenti, rafforzando le deleghe dei due componenti femminili il vicesindaco Sveva Belviso, e l’assessore, Rosella Sensi. Al vicesindaco Belviso è stato affidato il compito di coordinamento generale degli interventi in materia di politiche sociali e della sicurezza. Inoltre continuerà ad occuparsi delle deleghe che già aveva, tra cui le politiche per la promozione della salute, l’attuazione del Piano nomadi, il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, i rapporti con il garante dei diritti dei detenuti.
Per quanto riguarda l'assessore Rosella Sensi vengono affidate anche le deleghe per il nuovo assetto istituzionale di Roma Capitale, le relazioni internazionali oltre alla definizione e verifica degli indirizzi gestionali di Roma City Investment, l'agenzia per lo sviluppo territoriale nell’ottica della promozione dell’immagine di Roma Capitale.
Questo escamotage tecnico ha reso necessario da parte delle ricorrenti al Tar la presentazione di un’integrazione ai motivi del ricorso accolte dai giudici fissando una nuova udienza per il giorno 22 febbraio 2012.
Della questione della composizione della giunta di Roma Capitale si è interessato anche il Governo Monti con il ministro competente per materia: lo scorso 31 gennaio il Ministro per le pari opportunità Elsa Fornero ha inviato una missiva al sindaco Gianni Alemanno riguardante proprio la presenza femminile nella giunta capitolina.
“La rappresentanza femminile in tutti gli organismi di governo è un tema delicato e che provoca molta attenzione – scrive il Ministro – Non le sfugge che il punto è rilevante anche per me e non posso perciò chiederle una riflessione sul punto, e in particolare sulla composizione della sua giunta”.
Elsa Fornero ha lanciato un monito al Sindaco Alemanno chiedendo attenzione per il rispetto delle pari opportunità nella composizione della giunta: “Certa che non vorrà lasciare inascoltate le tante voci che le chiedono di offrire a Roma, alla Capitale dell’Italia, una presenza equilibrata tra donne e uomini nell’amministrazione comunale”.
Il Primo Cittadino di Roma Capitale nella sua risposta al ministro Fornero ha motivato l’esigua presenza femminile della sua giunta con un rapporto numerico con le donne elette in Consiglio Comunale, motivazione tra l’altro già adotta in fase di difesa dinnanzi ai giudici amministrativi: “Purtroppo, come forse lei non saprà, il deficit di rappresentanza femminile si riflette direttamente dalla nostra Assemblea capitolina dove su 60 consiglieri sono state solo 4 le elette in tutti gli schieramenti, ovvero meno del 7%. La necessità di contemperare la rappresentanza di genere con la rappresentanza elettorale non mi ha permesso, allo stato attuale, di inserire più di 2 donne in una Giunta composta da 12 assessori, ovvero quasi il 17% di presenza femminile, cioè più del doppio della percentuale di rappresentanza presente in Assemblea capitolina”.
Per Gianni Alemanno c’è bisogno di una legge nazionale che regoli la presenza dei sessi negli organi comunali, perché il problema supera il confine del Comune di Roma: “Questa riflessione non può, però, essere limitata solo alla città di Roma perché tale lettura parziale potrebbe assumere un'interpretazione strumentale. Infatti, nei Comuni la media delle donne elette in Consiglio non arriva al 12% mentre nelle Giunte non supera il 18%. Potrei inoltre osservare che anche nel suo Governo il numero delle donne nominate ministro è di 3 su 18, ovvero lo stesso rapporto della mia Giunta. Credo, quindi, che questo importantissimo argomento dovrebbe essere affrontato in maniera meno estemporanea e più meditata attraverso un confronto tra Governo e rappresentanze parlamentari da un lato e l'Associazione nazionale dei Comuni Italiani (Anci) in cui ricopro la carica di presidente del Consiglio nazionale”.
Il sindaco di Roma prospetta una riforma dello statuto comunale che nella sua attuale previsione fa riferimento al concetto di parità, un modello estremamente avanzato che supera il modello delle “quote rosa” che invece il primo cittadino vorrebbe reintrodurre per avere la certezza di quante donne inserire e non dover sottostare ai giudizi dei tribunali amministrativi: “Da questo confronto potrà nascere una Proposta di Legge che stabilisca in maniera precisa e preventiva la parità di rappresentanza, evitando che questo argomento venga liberamente affrontato dai singoli sindaci, oppure nelle aule dei tribunali amministrativi. Infatti, non possiamo lasciare solo ai Tar l'onore di intervenire azzerando le innumerevoli giunte totalmente asimmetriche dal punto di vista della rappresentanza femminile. In questo senso, comunque, ci muoveremo nella definizione del nuovo statuto di Roma Capitale dove, se l'Assemblea capitolina seguirà il nostro orientamento, intendiamo introdurre una definizione precisa delle quote di rappresentanza”.
Le parole del Sindaco Alemanno sono in linea con il principio che da sempre condiziona le scelte dei partiti almeno dal 1946, quando alle donne venne concesso il diritto di elettorato attivo e passivo ovvero che per ogni donna che viene inserita in lista per una candidatura o in un organo collegiale c’è sempre un uomo che viene escluso, un principio che ha solo questa valenza univoca per la maggior parte dei casi.
Il 20 febbraio 2012, 48 ore prima del giudizio del Tar che molto probabilmente sarebbe di nuovo intervenuto sulla composizione della giunta capitolina ancora carente in termini di equilibrata presenza dei generi, il sindaco Gianni Alemanno, accogliendo le dimissioni dell’assessore Alfredo Antoniozzi che resta deputato europeo, ha allargato la compagine femminile alla presenza di Lucia Funari nuovo assessore alle politiche per la casa. Sfumato, al momento, il quarto incarico femminile nella persona di Giuliana De Medici che avrebbe dovuto comportare un allargamento della maggioranza ad altre formazioni politiche di centro-destra, attualmente all’opposizione e in particolare al partito de “La Destra”, guidata da Francesco Storace. Gli assessori donna nella giunta capitolina salgono ora a tre, nella speranza del Sindaco che questa presenza rafforzata possa far cessare i contenziosi. Da segnalare anche il conferimento dell’incarico della figura di portavoce del sindaco a una donna, Ester Mieli.
La speranza per il sindaco Gianni Alemanno di allontanare lo spettro del ricorso con la nomina di una terza donna nella compagine della giunta capitolina è stata, però, disattesa. Il 22 febbraio 2012 la seconda sezione del Tar del Lazio ha deciso che il ricorso 746/2011 sarà deciso direttamente nel merito. Nonostante le ipotesi non vi è stata nessuna rinuncia al ricorso da parte delle ricorrenti. I legali hanno annunciato che chiederanno che il Comune sia condannato a pagare le spese processuali. La pronuncia probabilmente nel mese di marzo 2012, in data ancora da fissare.
Nonostante la decisione del Tar di esprimersi nel merito del ricorso, il primo cittadino di Roma Capitale non ha espresso timori: “Era ciò che avevamo previsto. Siamo di fronte a un sostanziale superamento dei motivi del ricorso. Non ci sono problemi”. Anzi ha ribadito la volontà di modificare lo statuto comunale entro il 2013 proprio in merito alla presenza femminile negli organi collegiali comunali, non solo nella giunta, ma anche in assemblea capitolina e negli altri organi di rappresentanza comunale e nelle holding. La volontà del sindaco è quella di inserire “una soglia minima numerica” nel nuovo Statuto di Roma Capitale che potrà vedere la luce solo dopo l’approvazione del secondo decreto attuativo di Roma capitale.
Più ardita la proposta di riforma avanzata dalla consigliere comunali ricorrenti che chiedono come Roma Capitali diventi il “capofila della rivoluzione culturale sulla rappresentanza di genere” inserendo nel proprio statuto il principio del 50% di rappresentanza femminile negli organi collegiali e nella giunta.

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